I ritratti fotografici di Philippe Halsman cercano di portare alla luce la vera personalità del soggetto, strappandogli la maschera per rivelare il suo vero io
Philippe Halsman, nato a Riga da una famiglia ebrea, iniziò la sua carriera di fotografo di ritratti a Parigi nel 1930. Il suo stile, subito innovativo, abbandonava i tradizionali effetti fotografici morbidi e ovattati in voga in quegli anni, a favore di immagini nitide dai forti contrasti. In quegli anni frequentò e fotografò grandi artisti come André Gide, Marc Chagall, André Malraux e Le Corbusier. Nel 1940, quando la Fancia fu invasa dai Nazisti, riuscì a fuggire negli Stati Uniti grazie all’aiuto di Albert Einstein.
E’ stato uno dei più grandi fotografi del ‘900 e nel corso della sua carriera entrò in contatto con le più grandi personalità dell’epoca: registi, stelle del cinema, politici, sportivi, artisti… e in particolare con Salvador Dalì conosciuto nel 1941 e col quale ebbe una collaborazione trentennale che fruttò numerose serie di foto surrealiste.
Philippe Halsman realizzò moltissimi servizi e cover per le più importanti riviste americane. Molti dei suoi ritratti fotografici sono pietre miliari della storia della fotografia e ancora oggi rimangono delle vere e proprie icone, come le sue 101 copertine per LIFE Magazine. Nel 1945 fu eletto presidente della American Society of Magazine Photographers e nel 1951 fu invitato a far parte dell’agenzia Magnum Photos.
Per Philippe Halsman l’obiettivo di un fotografo deve essere quello di cogliere la vera essenza del soggetto, di fargli togliere la maschera e rivelare il suo vero io e così negli anni ’50 inventò il “Jumping Style“: iniziò a chiedere ai suoi soggetti di mettersi a saltare durante lo shooting allo scopo di ottenere foto il più possibile naturali. Una persona che salta non riesce a controllare l’espressione del viso e questo era il suo modo originale e divertente per scattare dei ritratti fotografici davvero spontanei.
“La maggior parte delle persone si irrigidisce quando posa per una fotografia: l’illuminazione e le apparecchiature fotografiche sono inutili se il fotografo non riesce a fare cadere la maschera, almeno per un momento, così da poter catturare sulla pellicola il carattere e la loro vera personalità.”
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